OpenAI porta lo shopping dentro ChatGPT: rivoluzione per l’e-commerce nell’era AI

L’integrazione degli acquisti diretti all’interno di ChatGPT con partner come Etsy (già operativo negli USA) e, a breve, Shopify, non è solo una novità commerciale. È l’embrione di un nuovo ecosistema digitale in cui la ricerca tradizionale, l’e-commerce e la SEO classica rischiano di perdere centralità a favore di un modello in cui l’AI diventa motore di scoperta, interfaccia e checkout.

Non è esagerato parlare di una trasformazione radicale: ChatGPT non mostra più solo risposte, ma diventa esso stesso la “vetrina” e il “carrello”. Questo spostamento di potere solleva interrogativi profondi per chi lavora nel digitale, in particolare nell’ottimizzazione per i motori di ricerca e nei futuri scenari di Answer Engine Optimization (AEO) e Generative Engine Optimization (GEO).

Come funziona “Instant Checkout” in ChatGPT

  • Interazione conversazionale: l’utente descrive ciò che cerca (“voglio una lampada minimal bianca da scrivania”) e l’AI propone prodotti rilevanti.

  • Ranking algoritmico: i risultati non sono sponsorizzati in senso classico, ma ordinati in base a parametri di pertinenza, prezzo, disponibilità e compatibilità con il checkout istantaneo.

  • Transazione interna: l’utente acquista senza uscire dalla chat. Pagamenti e dati sensibili vengono gestiti direttamente all’interno della piattaforma.

  • Commissione sul venditore: il modello di business prevede fee applicate ai merchant, non ai consumatori.

Implicazioni per l’e-commerce

  1. Riduzione della frizione → meno passaggi = conversioni potenzialmente più alte.

  2. Disintermediazione del sito web → il brand perde il contatto diretto con l’utente. La relazione cliente-azienda rischia di essere mediata esclusivamente dall’AI.

  3. Dipendenza dall’algoritmo di ranking → non basterà più “ottimizzare un sito”: sarà cruciale garantire che i propri dati prodotto siano perfettamente leggibili e “preferibili” agli occhi del modello.

  4. Centralizzazione del potere → l’AI decide quali prodotti mostrare. Chi non compare nella risposta della chat è, di fatto, invisibile.

SEO classica vs AEO vs GEO: differenze sostanziali (anche per chi non ama le “sigle” 🙂 )

SEO (Search Engine Optimization)

  • Focus su ranking nelle SERP di Google e Bing.

  • Strumenti: keyword research, link building, technical SEO (crawlabilità, velocità, Core Web Vitals).

  • Output: lista di risultati ordinati per query.

AEO (Answer Engine Optimization)

  • Obiettivo: apparire come risposta diretta all’interno di motori conversazionali (ChatGPT, Gemini, Perplexity).

  • Strumenti: dati strutturati, markup semantico, ottimizzazione di knowledge graph, contenuti in formato Q&A.

  • Output: risposta sintetica che menziona il brand o mostra un prodotto.

  • Criticità: rischia di ridurre il traffico organico diretto ai siti, perché la risposta è “chiusa” nell’AI.

GEO (Generative Engine Optimization)

  • Evoluzione dell’AEO: qui il focus è educare il modello generativo stesso affinché “preferisca” citare o mostrare i tuoi contenuti/prodotti.

  • Strumenti: feed strutturati, API dirette, dati proprietari forniti agli LLM, ottimizzazione di immagini/cataloghi per embedding semantici.

  • Output: l’AI non si limita a rispondere con testo, ma genera esperienze personalizzate (es. un set di raccomandazioni prodotto con acquisto diretto).

  • Criticità: si entra in un terreno opaco, dove non ci sono regole trasparenti come per la SEO classica.

Oltre gli acronimi: della SEO resta solo la ciccia 🙂 

C’è chi sostiene che tutta questa proliferazione di sigle (AEO, GEO, AIO, ASE…) sia più marketing semantico che reale innovazione metodologica. In fondo, parlare di SEO per ChatGPT o di SEO per motori di risposta AI non è molto diverso dal parlare di SEO per YouTube o di SEO per TikTok: cambia il contesto, non l’essenza.. come dice giustamente Giorgio Taverniti (cit)

Alla base resta sempre lo stesso principio: capire i bisogni delle persone e creare la migliore risorsa possibile per soddisfarli. Questo binomio – bisogno > risorsa – non cambia né con l’arrivo degli LLM, né con l’integrazione dell’e-commerce nelle chat. La tecnologia evolve, certo, ma il modello rimane sempre un flusso di input e output. L’input può essere invisibile (embedding, segnali semantici, preferenze implicite), ma la logica resta quella: se non capisci davvero cosa serve all’utente, nessuna ottimizzazione tecnica ti salverà.

Gli acronimi sono utili perché il mercato li chiede e i clienti li riconoscono, ma non hanno un vero senso metodologico. Parlare di “Search Ecosystem Optimization” è forse l’approccio più onesto: studiare l’intero ecosistema di ricerca – che oggi include Google, ma anche ChatGPT, TikTok, Amazon e qualsiasi altra piattaforma di discovery – e ottimizzare in modo integrato. Non è una gara a inventare l’acronimo più trendy, è la disciplina eterna dell’ottimizzazione dell’incontro tra bisogno e contenuto.. però io adoro usare le “sigle” 🙂

Perché questa mossa è un esempio di AI allo stato puro?

Molti la chiamano “SEO 2.0”, ma in realtà qui la SEO tradizionale non basta più.

  • Non c’è SERP, non ci sono link blu.

  • La visibilità dipende dalla struttura dei dati del merchant e dal modo in cui l’AI interpreta la rilevanza di un prodotto.

  • Il contenuto non serve a “portare traffico”, ma a essere il contenuto stesso dentro la risposta generata.

In tale scenario se non sei presente nei knowledge graph o nei dataset dell’AI, sei fuori dal mercato; conta quanto bene i tuoi dati sono ottimizzati per essere ingeriti, compresi e riprodotti da un modello generativo.

Criticità e rischi ….?

  1. Opacità del ranking: a differenza della SEO, non esiste un Search Console per capire perché un prodotto compare o meno.

  2. Rischio di lock-in: chi vende dipende dalle API e dai criteri di una singola AI.

  3. Erosione del branding: l’esperienza utente è mediata dalla chat, non dal sito del brand. Logo, tono di voce e storytelling rischiano di scomparire.

  4. Monetizzazione a senso unico: se OpenAI in futuro introducesse logiche di sponsorizzazione “camuffata da organic”, il mercato si troverebbe intrappolato.

  5. Implicazioni etiche e legali: privacy, gestione dei pagamenti, concorrenza leale tra merchant.

Strategie avanzate per aziende e marketer

  • Structured Data estremo: non solo schema.org, ma feed XML/JSON ottimizzati per AI ingestion.

  • Product embeddings: preparare cataloghi con descrizioni e immagini “semanticamente ricche” che gli LLM possano interpretare facilmente.

  • Brand presence in conversational AI: sperimentare prompt engineering e query shaping per capire come l’AI menziona il brand.

  • Hybrid SEO: continuare a presidiare la SEO classica (Google rimane fondamentale) ma destinare budget a test  (API, knowledge graph, ottimizzazione conversazionale)o come vogliamo chiamarli pensando di intenti e non solo.

  • Monitoraggio competitivo: studiare come i competitor compaiono nelle risposte AI e adattare la propria strategia

Personalmente, vedo questa mossa come rivoluzionaria ma pericolosa.
OpenAI non si limita a “entrare nell’e-commerce”: sta ridefinendo il concetto stesso di visibilità online. Non si tratta più di posizionarsi su una SERP, ma di essere dentro la risposta dell’AI.

Chi si adatta in anticipo può conquistare enormi vantaggi competitivi.
Chi rimane ancorato a SEO tradizionale rischia l’invisibilità totale.
La domanda chiave, per i prossimi anni, non sarà più “come arrivo in prima pagina di Google?”, ma “come entro nella risposta di un modello generativo?”.

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